Francesco Trovato, mastro pasticciere ad Acireale, è cresciuto nei laboratori di donna Niriana Marano e di Costarelli, apprendendo le tecniche antiche di lavorazione della storica dolceria siciliana. Nel 1929 aprì la sua pasticceria che entrò nel novero dell’élite dolciaria etnea. I suoi garofani in pasta reale gli valsero una Croce al merito della Repubblica ed il titolo di Commendatore.

Sul lastricato di pietra lavica, lucido per quel po’ d’acquerugiola che aveva fatto in nottata e  infidamente scivoloso, buttava i passi di piatto, per prudenza, il mastro pasticciere Francesco Trovato, e intanto mandava avanti lo sguardo a fendere l’oscurità pressoché totale del vicolo. In quelle trazzere si infilava sempre un perfido filo di vento marino che aveva pure un nome, ma che lui non ricordava mai. E che era pescatore? Che ne sapeva lui di venti e di mare, lui pasticciere era. Dal mare, diciamo, rubava le forme di pesci, ricci, crostacei, e quella roba là, le cozze, i molluschi, ecco! E le rifaceva pari pari di marzapane, tutte belle colorate che parevano vive, a mollo all’acqua, manco pescate, e poi si godeva le facce dei compaesani, soprattutto i bambini, appiccicate alla vetrina a bocca aperta, e l’immancabile sorpresa di qualcuno: “Vatinni diavulu, parunu vivi!”.

Sul lastricato di pietra lavica, lucido per quel po’ d’acquerugiola che aveva fatto in nottata e  infidamente scivoloso, buttava i passi di piatto, per prudenza, il mastro pasticciere Francesco Trovato, e intanto mandava avanti lo sguardo a fendere l’oscurità pressoché totale del vicolo. In quelle trazzere si infilava sempre un perfido filo di vento marino che aveva pure un nome, ma che lui non ricordava mai. E che era pescatore? Che ne sapeva lui di venti e di mare, lui pasticciere era. Dal mare, diciamo, rubava le forme di pesci, ricci, crostacei, e quella roba là, le cozze, i molluschi, ecco! E le rifaceva pari pari di marzapane, tutte belle colorate che parevano vive, a mollo all’acqua, manco pescate, e poi si godeva le facce dei compaesani, soprattutto i bambini, appiccicate alla vetrina a bocca aperta, e l’immancabile sorpresa di qualcuno: “Vatinni diavulu, parunu vivi!”.

…Poi passava sul retro, nel suo regno, il laboratorio. Dalla finestra, esposta a levante, faceva capolino la pallida luce violetta delle sei del mattino. Indossava il camice, se lo lisciava coi palmi delle mani, si calzava in testa il cappelluccio a bustina, e nella penombra apparecchiava il tavolo da lavoro di tutto l’occorrente, attrezzi e materie prime, uova fresche, zucchero bianco, farina finissima, tipo 00, mandorle spellate di Avola, non per dire, le migliori del mondo, cacao amaro di Modica, bacche di vaniglia. “Mi pare che c’è tutto”, bofonchiava, mentre con le mani ai fianchi dava un’ultima occhiata panoramica. Si era fatto giorno, si capiva dai raggi del sole che arrivavano di taglio fin sul tavolo da lavoro e dal profumo dei primi preparati che cominciava a spandersi saturando il laboratorio e traboccando fuori, per strada, a stordire e ammaliare meglio d’una chantosa.

Una balda schiera di giovani apprendisti pasticcieri e sorbettieri nel 1918: quello in primo piano, con il cappellino di carta a forma di barchetta è Francesco Trovato

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